Presentazione di:

Enzo Battarra

Francesco Canestrini

Massimo Cacciari

 

La Mostra

 

La grandiosità dei monumenti, la suggestione creata dal rapporto tra architettura e ambiente naturale, affascinano da sempre gli artisti, che spesso ne amano ritrarre scorci intensi e particolari significativi, riproponendo alla nostra attenzione (spesso distratta) realtà che sono parte della vita quotidiana ma al tempo stesso momenti fondamentali della storia della nostra civiltà.

E’ proprio dell’artista fornirci uno spunto di riflessione, un’occasione dalla quale partire per indagare sul potere introspettivo suggerito da un’immagine, e sulle sensazioni che ognuno associa al ricordo di un luogo noto.

Ed è indubbiamente San Leucio uno dei siti di maggiore intensità storico-artistica della nostra terra, in grado di coinvolgere (o sconvolgere) sia l’esperienza del cultore d’arte sia quella dello storico che quella del politico. Si tratta infatti di “unicum” monumentale che accoglie in sé: il sorgere di una città ideale basata sulla nuova civiltà industriale, la redazione di un codice che regola la vita sociale della “Colonia”, la progettazione di forme architettoniche ispirate a modelli di sviluppo del tutto originali, la pianificazione di un vasto territorio nel quale agli opifici si affiancano nuove culture con le quali sperimentare nuove tecniche agrarie, ed infine una vasta produzione tessile, di alta qualità, arricchita dalle esperienze di operai provenienti dal nord Italia e da paesi esteri.

Di tutto questo la vicenda artistica di Battista Marello è testimonianza; in ogni sua creazione si distingue, come elemento di continuità, un riferimento costante all’esperienza leuciana: all’edificio del Belvedere, evocato anche per frammenti visivi e per particolari decorativi, alla produzione della seta componente di forte intensità ed identità cromatica, alla complessità del disegno colleciniano intrecciato alle vicende della limitrofa Reggia e del condotto Carolino.

Le immagini di Battista Marello hanno, insomma, un forte potere evocativo frutto di un’approfondita conoscenza dei luoghi, dovuta ad una preziosa serie di indagini storiche ma al tempo stesso vissuti nelle esperienze quotidiane del paesaggio da una fase di profondo degrado del complesso del Belvedere ad un raffiorare dell’immagine originaria attraverso un complicato intervento di restauro, ancora non ultimato.

Ed è proprio nella documentazione del degrado, conservato come segno essenziale nel vetro rotto che si sovrappone all’immagine in bianco e nero della filanda, così come nelle ciminiere dalle quali fuoriescono volute barocche di fumo o nel ripetersi delle decorazioni mistilinee tardo settecentesche, che ciascuno di noi può cogliere l’essenza e la complessità di riferimenti del monumento leuciano.

Chi rispetta i monumenti e cerca di studiarli, per comprenderne le caratteristiche, non può non emozionarsi nel ripercorrere, attraverso l’opera di Battista Marello, tutte le vicende di un complesso, visto da differenti angolazioni, ma sempre presente, in forma poetica, all’interno delle composizioni, quasi a rimarcare una precisa identità, un riferimento storico all’utopia di una “città di eguali”, quasi a voler riaffermare un ideale che ritorna costantemente nella storia meridionale.

La visione surreale di una nuvola di fumo che uscendo da una ciminiera si staglia sull’azzurro del cielo e sul verde della collina, il particolare sinusoidale di una ringhiera in ferro battuto, la veduta attraverso le grate di un antico cancello, i colori accesi che segnano le ultime composizioni, sono l’indizio di un rapporto forte e costante con una realtà estremamente viva e ricca di significati, realtà con la quale, e questo credo sia uno dei messaggi che Marello ci vuole trasmettere, tutti noi dobbiamo confrontarci sia per riconoscerla come parte importante della nostra storia sociale sia per assicurarle un futuro che continui a indicarla come simbolo di quella “città di uguali” ancora lontana da realizzare.

Francesco Canestrini