Preesistenza del Belvedere

L’acquisto della collina di San Leucio, effettuato nel 1750 da Carlo III di Borbone, si inserisce nell’ambito di una politica territoriale a larga scala, già da tempo intrapresa dal sovrano, tendente ad istituire attorno alla città di Napoli un vasto insieme di possedimenti e feudi della casa regnante.

L’iniziale presupposto era di farne una serie di riserve di caccia e di residenze secondarie per lo svago della famiglia reale, disponendo inoltre nel paesaggio chiari simboli di esaltazione del potere; a ciò si aggiunse in seguito il proposito di convertire le proprietà in altrettanti centri modello sperimentali per le attività agricole e manifatturiere della corona.

L’atto di acquisto delle terre di San Leucio e degli edifici ivi compresi, va ricollegato alla decisione, di qualche anno precedente, di trasportare la Reggia nella piana di Caserta onde adeguare una più opportuna veste architettonica allo spirito e alle esigenze politiche, culturali e di immagine dei nuovi regnanti. L’acquisizione del podere, infatti, ampliando i già estesi possedimenti della Corona nella zona, doveva permettere la creazione di un immenso parco di delizie posto a nord del monumentale edificio. Nelle intenzioni chiaramente espresse dai successivi disegni vanvitelliani, il sistema del parco veniva infatti proposto come elemento di contrappeso alla vertiginosa espansione urbana immaginata a sud della Reggia; alle grandi direttrici di sviluppo della ipotizzata “Città-territorio”, facevano riscontro i tre assi principali del Parco, uno dei quali aveva come punto focale, proprio l’edificio del Belvedere, in posizione dominante sul pendio della collina di San Leucio. L’antico castello, centro della futura colonia manifatturiera, costituisce nei piani del Vanvitelli una delle presenze architettoniche e simboliche più significative.

La costruzione appare citata per la prima volta nei documenti in una perizia giudiziale del 1636: già all’epoca doveva trattarsi di un fabbricato di una certa importanza dato che viene qualificato come “vero palazzo reale”. Le fonti storiche ne fanno risalire l’edificazione alla metà del XVI secolo per opera dei principi di Caserta, Acquaviva di Aragona, allora proprietari di tutto il feudo, ma non è escluso che esso sfruttasse almeno in parte preesistenze o resti di edifici anteriori, secondo una pratica estremamente diffusa e generalizzata, e di cui oggi si sono perse le tracce. Il documento ed il rilievo effettuato nel 1774, in occasione di un primo intervento di restauro, presentano una descrizione dell’edificio concordante per molti aspetti: ciò permette di affermare che lo schema planimetrico seicentesco coincide, per la massima parte, con la situazione riscontrabile più di un secolo dopo, che ricalca quindi l’impianto originario senza apportavi eccessive modifiche. Dal confronto fra le due fonti si può perciò stabilire con sufficiente sicurezza un’attendibile immagine del Belvedere al ‘600.

L’autore materiale del restauro del Belvedere, iniziato nel 1774, è Francesco Collecini, a quell’epoca impegnato come sottodirettore alla Reggia di Caserta, e, dopo la morte di Luigi Vanvitelli, senz’altro l’esperto più qualificato operante alle dipendenze della casa reale.

Ferdinando IV è invece sicuramente il promotore dell’opera, che toglie definitivamente l’antico castello del Belvedere dal suo stato di abbandono: Il giovane sovrano prosegue nella strategia territoriale intrapresa dal padre Carlo III, dopo che la partenza del medesimo per il trono di Spagna aveva interrotto il completamento delle iniziative riguardo i “Siti Reali”. Il primo interessamento documentato di Ferdinando IV verso il Sito di San Leucio risale al 1773, quando la proprietà viene notevolmente ingrandita mediante l’acquisto di nuove terre e completamente circoscritta da un muro di cinta. Con questi atti il sovrano dà l’avvio ad un immenso programma che prevede la risistemazione di quel territorio finalizzata soprattutto alla creazione di una riserva di caccia privata, tanto più preziosa in quanto vicina alla Reggia, e di un sicuro e comodo rifugio, e secondariamente allo sviluppo di attività connesse all’agricoltura.

Così, in brevissimo tempo, si assiste all’edificazione del Casino di San Leucio, che diventa di fatto una seconda residenza in alternativa a quella – poco amata – di Caserta, alla costruzione di una Vaccheria per l’allevamento sperimentale di bovini, al già citato restauro del Belvedere, nonché al recupero di una serie di fabbricati di minore importanza cui si accompagna l’acquisizione di ulteriori poderi, il tracciamento di nuove strade d’accesso ed una nuova recinzione della proprietà.

Lo stesso Ferdinando, nel documento “Origine e progressi della popolazione di San Leucio”, ci offre un quadro cronologico degli eventi.

 

Non essendo certamente l'ultimo dei miei desideri quello di ritrovare un luogo ameno e separato dal rumore della corte, in cui avessi potuto impiegare con profitto quelle poche ore di ozio che mi concedono di volta in volta le cure più serie del mio stato; le delizie di Caserta e la magnifica abitazione incominciata dal mio augusto padre, e proseguita da me non traevano seco coll'allontanamento dalla città anche il silenzio e la solitudine, atta alla meditazione ed al riposo dello spirito, ma formavano un'altra città in mezzo alla campagna, colle istesse idee del lusso e della magnificenza della capitale.

Pensai, dunque, nella villa medesima di scegliere un luogo più separato, che fosse quasi un romitorio, e trovai il più opportuno essere il sito di San Leucio.

 

Le ragioni addotte dal sovrano non chiariscono del tutto l’ambiguità di fondo che sottintende queste scelte: in realtà, più che corrispondere ad un legittimo e comprensibile bisogno di evasione e di svago, l’iniziale interesse manifestato da Ferdinando nei confronti della sua proprietà e della caccia sembra rappresentare l’opportunità per una fuga dagli assillanti compiti e dalle pesanti responsabilità della gestione dello stato.

Dopo questa prima fase si assiste ad una serie di piccoli ma significativi interventi che testimoniano un mutamento negli interessi del sovrano e preludono alle successive radicali trasformazioni, creando le necessarie premesse al conseguimento di quelle che saranno le maggiori vocazioni e caratteristiche dell’insediamento.

Nel 1775 viene impiantata nei locali dismessi della Vaccheria una piccola manifattura di veli diretta da maestranze importate dal Piemonte. L’episodio costituisce un primo esperimento per l’introduzione di attività produttive nel Sito Reale.

L’anno seguente, la “Grande Sala di Comunicazione” del Belvedere viene trasformata in chiesa per provvedere alle cure spirituali degli abitanti della riserva: si forma così un iniziale nucleo di persone accomunate da un elementare concetto di comunità, gravitanti attorno alla figura del re. L’intervento viene affidato all’architetto Collecini, allievo ed aiutante di Luigi Vanvitelli.

Una tappa, fondamentale quanto occasionale per lo sviluppo della futura colonia manifatturiera, è la decisione di Ferdinando IV, determinata dal decesso del suo primogenito Tito avvenuto nel dicembre 1778, di abbandonare l’Antico Casino della Vaccheria per insediarsi nel Belvedere che a tale scopo viene “…rimodernato e abbellito nelle sole parti esteriori …”. All’episodio fa seguito un considerevole incremento della popolazione residente che passa, grazie alla “… favorevole proliferazione prodotta dalla bontà dell’aria e alla tranquillità e pace domestica …”, al totale di 134 individui.

 

Il Regal Casino non ancor compito, meritatamente detto di Belvedere, è situato a Mezzogiorno alle falde del monte San Leucio in una posizione assai salubre ed eminente fino al segno di guardar a se sottoposto il Gran Palazzo di Caserta: e siccome resta superiore anche a’ fabbricati della Colonia Leuciana; una maestosa scalinata, che il precede, eccita il desio di ascendervi. Giunto sul piano si osserva in faccia l’avancorpo bene architettato, in mezzo al cui primo piano Havvi la Chiesa Parrocchiale fiancheggiata da due belle fontane, ed alle spalle nel basso il magnifico portone, che forma di fuori il rinchiuso l’ingresso principale a questo Real Sito ornato a’ fianchi da due lunghi casamenti appellati quartieri di San Carlo e San Ferdinando.

 

La successiva creazione, nei locali del Belvedere, di una scuola normale si inserisce invece in un quadro di interventi atti a favorire la pubblica istruzione già da tempo intrapresi dal sovrano e dall’amministrazione borbonica che facevano proprie alcune delle richieste sociali dell’Illuminismo. La decisione, testimoniante delle preoccupazioni d’ordine morale e degli aspetti paternalistici della politica illuminata di Ferdinandi IV, viene a prevenire, secondo i suoi stessi termini, l’eventualità che “… tanti fanciulli e fanciulle, che aumentavansi alla giornata, per mancanza di educazione non divenissero un giorno, e formassero una pericolosa società di scostumati e malviventi …”.

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