La
grandiosità dei monumenti, la suggestione creata dal rapporto tra
architettura e ambiente naturale, affascinano da sempre gli artisti, che
spesso ne amano ritrarre scorci intensi e particolari significativi,
riproponendo alla nostra attenzione (spesso distratta) realtà che sono
parte della vita quotidiana ma al tempo stesso momenti fondamentali della
storia della nostra civiltà.
E’
proprio dell’artista fornirci uno spunto di riflessione, un’occasione
dalla quale partire per indagare sul potere introspettivo suggerito da
un’immagine, e sulle sensazioni che ognuno associa al ricordo di un
luogo noto.
Ed
è indubbiamente San Leucio uno dei siti di maggiore intensità
storico-artistica della nostra terra, in grado di coinvolgere (o
sconvolgere) sia l’esperienza del cultore d’arte sia quella dello
storico che quella del politico. Si tratta infatti di “unicum”
monumentale che accoglie in sé: il sorgere di una città ideale basata
sulla nuova civiltà industriale, la redazione di un codice che regola la
vita sociale della “Colonia”, la progettazione di forme
architettoniche ispirate a modelli di sviluppo del tutto originali, la
pianificazione di un vasto territorio nel quale agli opifici si affiancano
nuove culture con le quali sperimentare nuove tecniche agrarie, ed infine
una vasta produzione tessile, di alta qualità, arricchita dalle
esperienze di operai provenienti dal nord Italia e da paesi esteri.
Di
tutto questo la vicenda artistica di Battista Marello è testimonianza; in
ogni sua creazione si distingue, come elemento di continuità, un
riferimento costante all’esperienza leuciana: all’edificio del
Belvedere, evocato anche per frammenti visivi e per particolari
decorativi, alla produzione della seta componente di forte intensità ed
identità cromatica, alla complessità del disegno colleciniano
intrecciato alle vicende della limitrofa Reggia e del condotto Carolino.
Le
immagini di Battista Marello hanno, insomma, un forte potere evocativo
frutto di un’approfondita conoscenza dei luoghi, dovuta ad una preziosa
serie di indagini storiche ma al tempo stesso vissuti nelle esperienze
quotidiane del paesaggio da una fase di profondo degrado del complesso del
Belvedere ad un raffiorare dell’immagine originaria attraverso un
complicato intervento di restauro, ancora non ultimato.
Ed
è proprio nella documentazione del degrado, conservato come segno
essenziale nel vetro rotto che si sovrappone all’immagine in bianco e
nero della filanda, così come nelle ciminiere dalle quali fuoriescono
volute barocche di fumo o nel ripetersi delle decorazioni mistilinee tardo
settecentesche, che ciascuno di noi può cogliere l’essenza e la
complessità di riferimenti del monumento leuciano.
Chi
rispetta i monumenti e cerca di studiarli, per comprenderne le
caratteristiche, non può non emozionarsi nel ripercorrere, attraverso
l’opera di Battista Marello, tutte le vicende di un complesso, visto da
differenti angolazioni, ma sempre presente, in forma poetica,
all’interno delle composizioni, quasi a rimarcare una precisa identità,
un riferimento storico all’utopia di una “città di eguali”, quasi a
voler riaffermare un ideale che ritorna costantemente nella storia
meridionale.
La
visione surreale di una nuvola di fumo che uscendo da una ciminiera si
staglia sull’azzurro del cielo e sul verde della collina, il particolare
sinusoidale di una ringhiera in ferro battuto, la veduta attraverso le
grate di un antico cancello, i colori accesi che segnano le ultime
composizioni, sono l’indizio di un rapporto forte e costante con una
realtà estremamente viva e ricca di significati, realtà con la quale, e
questo credo sia uno dei messaggi che Marello ci vuole trasmettere, tutti
noi dobbiamo confrontarci sia per riconoscerla come parte importante della
nostra storia sociale sia per assicurarle un futuro che continui a
indicarla come simbolo di quella “città di uguali” ancora lontana da
realizzare.