di Gaetano Andrisani

Riempire la solitudine di San Leucio, esaltata dalle dimensioni ragguardevoli del complesso architettonico della prospettiva Apparizione, 1985, pastelli, cm 33x23 paesaggistica del posto, dev’essere un problema per chi non è aduso alla contemplazione e si ritrova nei panni di un attivo itinerante. Meno male che ci sono i pennelli, i colori e le tele aL'Avaro, 1971, inchiostro su china, cm 66x50 colmare le malinconie delle lunghe serate d’inverno, quando fischia e s'infila tra le arcate sfenestrate e la desolazione del Belvedere che cade a pezzi il vento del Tifata. Battista Marello, quindi, dipinge non solo, ma si mostra ora a Sulmona in una personale che vuole soprattutto avere il significato di un recupero di tutto il lavoro svolto dai primi tentativi di bozzetti a carboncino o a gessetti e del riuscito ritratto ad olio del 1969 di “Nufrielle ‘a Crocefissione, 1975, olio su tela, cm 40x50 Palomma”, pronipote omonimo dell’illustre scultore marcianisano Onofrio Buccini, alle ultime sperimentazioni informali e al geometrismo della ricerca in corso, sulla quale sarà impostata forse la prossima rassegna casertana. La sorpresa che si ha, trovandosi di fronte a tanto lavoro, segmentato di ansie accavalantisi e di approcci sempre nuovi, attiene soprattutto allaFilanda, 1985, acquerelli, cm 33x48 varietà delle formulazioni provate di un discorso che in fondo è unitario, agganciato com’è ad una visione religiosa della vita e del mondo e sostenuto dal grande desiderio di un approdo definitivo, che serva all’affermazione della propria personalità e alla trasmissione di un messaggio d’arte. Non è facile districarsi e fare ordine, sia pure per una personale di recupero, nell’abbondante materia che si ha sott’occhio; Marello, d'altra parte, ci pare che nulla abbia distrutto della sua attività e che tutto voglia utilizzare a testimoniare il fervore di un impegno che si protrae nel tempo da lunghi anni. In una congeria così frastagliata di pezzi finiti o abbozzati, rinveniamo un filo conduttore che riduce all’unità il tutto, compreso quanto l’artista avrebbe dovuto distruggere, nella metodica da sempre adottata di scomporre il tema e di conseguenza il suo svolgimento secondo parametri e moduli geometrici di compenetrazioni il più delle volte di non troppo agevole trasposizione figurativa. Interno di casa operaia, 1985, nitro su cartoncino, cm 28x21L’osservazione ci porta a credere che Marello abbia attitudine particolare alle forme della scultura, dove le spigolosità delle interferenze difficili di solidi e di piani trova soluzioni accettabili e si radduce a continuità nella terza dimensione, di certo palpabile e più soffribile di qualsiasi astrazione. Ci sono già delle sculture nella produzione di Marello, ma pur risentono dell’autodidattismo della pittura; le forme vanno approfondite in un impegno diuturno e filtrate da severe riflessioni in lunghe e fredde sedimentazioni. Non c’è chi in gioventù non abbia scritto una poesia o una canzone: almeno si dice. Il luogo comune potrebbe ben estendersi all’arte; difatti, i pastelli e la plastilina si danno in mano ai bambini per sollecitare la loro creatività. “In nuve” siamo tutti Michelangelo o Raffaello; approda ad esiti felici in materia che ha talento e questo non sotterra ma coltiva e faIl lottatore, 1978, gesso alabastrino, h. com 60 fruttificare. Marello ne ha, come dimostra quanto si espone nella personale di Sulmona; lo mette già a frutto, ma ne coglierà di più quando avrà scelto la sua strada e la percorrerà difilato, senza zig-zagare o tornare indietro o cercarne ancora, fino alla meta. Di pellegrini più o meno affannosi alla ricerca dei valori assoluti che sono nell’arte, che è la verità, è coperto il mondo. Giunge in fondo chi lascia pure il bastone e la bisaccia e disincantato tiene sempre lo sguardo fisso alla vetta. Battista Marello dimostra per ora di avere i numeri per farcela.

 Madonna, 1985, acrilico su tela, cm 50x70

di Antonio Marotta

Le forme più esasperate del rocaille, un gusto Pompadour gonfiato al punto da richiamare l’attenzione sul senso concreto della contemporaneità della storia, uno stile di vita basato sull’intelligenza nei suoi aspetti più scettici e pungenti, un compiacimento estetico, talvolta fine a se stesso: queste cose ed altre affiorano dai disegni di Battista Marello, i primiL'ora di spacco, 1972, gessetti su carta, cm 90x74, quelli degli anni ’70, eseguite nelle sale di quell’immobile ossessione che è il Belvedere di S. Leucio ove ogni cosa sfiora il gusto e la memoria e contribuisce all’intrigo di emozioni. Trofei, delfini, vasi che ricordano le produzioni di Sevres ma che si presentano nella lettura di Marello come turiboli ove brucia l’incenso: cose che collocano talvolta l’artista al di dentro della configurazione tardo barocca; cose che difficilmente potranno sopravvivere al di fuori di questo sogno patriarcale dell’Arcadia illuminata ove si vive un passato e un presente assai simili e ove nei disegni o nelle tele è già presente il dolore di sentirsi durare. S. Leucio vive lunghe aspettazioni di bellezze; è Di sera, 1980, pastelli su carta, cm 37x50 una realtà vitrea, non conoscibile in cui anche i sentimenti compongono su un telaio immaginario damaschi iridiscenti. Liberarsi di queste cose, fuggire l’ossessione si traduce in un tentativo che rimarrà comunque ricchissimo diTrofeo, 1984, gessetti e pastelli su tavola, cm 120x172 memorie, di fili di culture ricchissime tesi nei secoli per comporre prospettive che comunque rimangono legate alle atmosfere della settecentesca colonia manifatturiera. Ed è così che tutto sfuma; tutto si confonde, tutto si accavalla, tutto si ripropone tanto da farti leggere sui volti e sulle mani dei tre operai che vivono l’ora di sosta, le speranze di Emmaus, le attese del Risorto, che convivono nell’animo dell’artista con la lunga, immobile ossessione di questa città che poteva essere e non è stata. Nelle ultime opere, in quelle dell’altro ieri o di qualche giorno prima, Battista Marello attinge ad una cultura diverse forme, gusto ed espressione; non si comprende però se ciò possa sopravvivere.