L’arte del Marello raggiunge il fascino del simbolo dinamico, che invece di descrivere la realtà, la interpreta e la trascende. Nella lievitazione della trascendenza, appunto, si trova il segreto di una pittura e di una scultura originali e innovative.  Battista Marello è un sacerdote. Penso, però, che la sua vocazione venga si da Dio, ma soprattutto dalla sua urgenza interiore di trasfigurare le cose in un cantico di fervore e di bellezza. L’arte è congeniale alla sua natura d’uomo e quindi di sacerdote. Si può definire sacra soltanto perché raffigura oggetti sacri.

Rimane certamente libera da schemi preconcetti per la novità delle intuizioni e della composizione. Vale notare, tuttavia, che l’intensità di percezione della trascendenza è talmente sensibile, per cui quest’arte non scade mai in risvolti devozionali, ma si lancia sempre in un’ampia emotività religiosa.

Caserta, 1998

+ Raffaele Nogaro


Le immagini di Battista Marello hanno, insomma, un forte potere evocativo frutto di un’approfondita conoscenza dei luoghi, dovuta ad una preziosa serie di indagini storiche ma al tempo stesso vissuti nelle esperienze quotidiane del paesaggio da una fase di profondo degrado del complesso del Belvedere ad un raffiorare dell’immagine originaria attraverso un complicato intervento di restauro, ancora non ultimato.

Ed è proprio nella documentazione del degrado, conservato come segno essenziale nel vetro rotto che si sovrappone all’immagine in bianco e nero della filanda, così come nelle ciminiere dalle quali fuoriescono volute barocche di fumo o nel ripetersi delle decorazioni mistilinee tardo settecentesche, che ciascuno di noi può cogliere l’essenza e la complessità di riferimenti del monumento leuciano.

1998

Francesco Canestrini


"Marello va attuando il messaggio che i Padri del Concilio Vaticano II hanno indirizzato agli artisti: Voi avete aiutato la Chiesa a tradurre il suo messaggio divino nel linguaggio delle forme e delle figure, a rendere visibile il mondo invisibile ... Questo mondo nel quale viviamo ha bisogno di bellezza per non cadere nella disperazione, le sue opere, infatti, indagano sui misteri che trascendono la natura stessa, che sono racchiusi nell'intimo di ogni cuore e che, svelati, sublimano. In Marello la bellezza fisica diventa bellezza psicologica e morale per assurgere a bellezza trascendentale".

Caserta, 1990

Carlo Roberto Sciascia


"Don Battista è un sacerdote. Don Battista è un artista. L'uno senza l'altro non fanno la persona. Il sacerdote e l'artista sono una sola identità: forse a riprova che il soggetto dell'estetica moderna si dà nella forma pura del linguaggio? Il prete e l'artista si dicono, che è cosa diversa dall'esprimersi. Il dirsi è il modo intimo del linguaggio, che libera il soggetto dalla responsabilità del suo dire interiore. Nelle crocifissioni di Marello si dice il Cristo ferito e dolente. Ma quel dolore si può dare soltanto nella vertigine di segni sofferti, calcati, scarabocchiati. Il sentimento, in questo caso la fede, è una qualità del linguaggio, un modo di dire. Moderno sarebbe infatti quel soggetto che si costituisce (o si disperde) nei modi del linguaggio, per dirsi finalmente artista. Battista Marello però è anche prete: celebra la Messa, impartisce sacramenti, pronuncia preghiere. Di sè non ci dice ancora nulla, benchè abbia comunque la parola appropriata. Nel suo linguaggio un sacerdote è a proprio agio, la sua parola è sempre quella giusta, i suoi segni non sbagliano mai.

La vicenda artistica del sacerdote Marello pone tuttavia un ulteriore significato. Nè l'uno nè l'altro, linguaggio cambiano lo stato delle cose. Ma l'uno e l'altro, messi al lavoro, resistono alle ingiurie del quotidiano nonsenso. Essere oggi nel linguaggio, in un qualsiasi linguaggio, non è una condizione piacevole; comunque non è come stare sul Sinai. Senza le tavole dei comandamenti, la vita si espone al rischio e al dramma della scelta. Questa è l'avventura estetica di quel soggetto che chiamo moderno. Il quale è ancora l'uomo, preso nel suo infinito dubitare sui modi di essere, le possibilità, i cambiamenti. Moderno è quel soggetto stanco di giocare con un linguaggio nel quale troppo si dice, ma tutto resta da dire. Battista Marello, artista-prete-uomo, pur portando le stimmate della modernità, sembra dunque vedere una speranza, un meta per il nostro cammino. Si dice ottimista anche con la forza delle sue opere d'arte. Avendo scelto fino in fondo di stare nel linguaggio, la sua liturgia e ci presenta un ambiente di segni per noi insolitamente familiare. La modernità di Marello ha questo fascino strano del ritorno all'antico che è un sogno di riconciliazione da sempre custodito in ogni linguaggio. L'utopia del linguaggio resta ferma all'incarnazione del Verbo".

Caserta, 1990

Eduardo Cicelyn


"Con i Campionati Mondiali di Calcio 1990, l'Italia celebra l'evento sportivo più atteso di questi ultimi anni.

Questa occasione irripetibile ci appare anche come uno straordinario momento di confronto con chi (come l'artista) ha scelto di vivere nella magia e nel mistero della realtà trasmutata nel sogno e nel colore, ricomposta nello spirito e idealmente raccolta nel gesto della pittura. Da tale angolazione prospettica, tre artisti italiani contemporanei - F. Ambrosino, B. Marello, e S. Trotti - Hanno voluto testimoniare con un'opera originale il loro vivo sentimento di partecipazione a questa grande e irripetibile kermesse dello sport, della cultura e dello spettacolo".

Roma, 1990

Carmine Benincasa


"Tuttavia, quel che accade nelle opere di Marello,  più che un processo di metamorfosi, è un gioco di dissolvenze mentali, uno spostamento di segni e di contesti che, avendo come sfondo sempre un'atmosfera immobile e limpidissima, crea una dimensione spaziale 'metafisica': una dimensione, però, che rispetto ai suoi modelli storici possiede un tratto di originalità che deriva soprattutto dall'amore di Marello per la semplicità della formulazione d'immagine e per l'asciutta, tesa evidenza delle situazioni figurali".

Napoli, 1989

Vitaliano Corbi


"La riflessione plastica di Battista Marello si basa su una serie precisa di oggetti figurativi... Essi servono, senza alcun dubbio, un progetto rappresentativo. Ma un tale progetto non è il suo fine ultimo. Essi hanno chiaramente un'altra destinazione, una visione complessa che supera il mondo ideale.

... essi si delineano in una ambiguità fondamentale, necessaria, che fa passare lo sguardo della spettatore dalla dimensione sensibile alla dimensione metafisica senza che l'una annulli la precedente, senza che la prima gravi sulla seconda. Le piramidi, per esempio, appartengono piuttosto alla geometria platonica che alla fantasmagoria della morte dell'antico Egitto, senza dimenticare l'occhio divino.

Nelle sue opere, esse si innalzano, s'anamorfizzano, diventano affilate come come le lance, si ancorano sulla terra, si stagliano verso l'infinito. Essi esprimono l'essenza del possesso dello spazio. Il senso che si inscrive nell'universo. Ma esse materializzano anche una tensione dello spirito nascente della volontà di produrre un effetto di eternità al limite dell'effimero e del modale. E la pittura è giustamente questa ambizione di non fissare mai l'implacabile e inesorabile marcia del tempo".

Milano, 1987

Gerard-Georges Lemaire


"Mi spiego meglio: nei disegni,nelle incisioni c'è una grande secchezza, un'essenzialità di segno, una delicatezza nel porgere che non esiste, ad esempio nelle tele, dove il calore si accende e in qualche modo trascende, eccede. Mi ha affascinato molto il bozzetto della fontana, questo ricciolo elegantissimo che rimanda ad un capitello ma anche all'immaginifica pittura di Savinio. Trovo molto interessante il versante astratto, intermittente del tuo lavoro, piuttosto che il suo aspetto più esplicitamente simbolico. Così preferisco i tuoi lavori su carta, le incisioni, i disegni, alle tele, per quel margine di fragilità, di non detto, di ricerca che mettono in moto. Naturalmente queste non sono che rapide impressioni: per scrivere realmente del lavoro di un artista occorre un tempo maggiore di frequentazione delle opere, e un tempo di attesa, di sedimentazione".

Genova, settembre 1987

Daniela Turco


"Battista Marello vive i luoghi deliziosi, intriganti, silenziosi e conturbanti di una spazialità che dalla vorticosità barocca sembrerebbe attingere a piene mani. Il suo barocco non è quello fragoroso e riformato romano, quanto piuttosto quello solare e misterioso di un sud nobile ed illustre, bianco e solare, appoggiato soavemente sul guizzante svolazzare degli stucchi antichi, nel turbinio di angeli dionisiaci e santi incolpevoli. La sua agitazione è l'espressione di una stabilità: è l'inverso stesso del dinamismo. Il suo agire dura soltanto un istante, soltanto l'attimo imprendibile ed imprevedibile del silenzio. La sua frutta non è dissimile dai suoi cieli ed i cieli non differiscono molto dalle ondulate nubi così come tutto Marello non dissimula se stesso, - mai - neanche quando l'opportunità lo richiederebbe, anche quando i tempi e le stagioni sembrerebbero segnare nuovi orizzonti".

Roma, 1989

Alessandro Masi


"La pittura di Battista Marello echeggia diuturne frequentazioni bibliche ... Il colore di marca espressionista risulta antiretorico, mentre preponderante appare il richiamo gestuale, solenne e parabolico con una inclinazione al vortice da leggere anche in chiave intimistica. L'impeto del gesto bene si qualifica attraverso la ricerca materica (egli usa sovente quale colore le terre) con reticoli ben calibrati di tonalismo ...

Pittura essenziale quindi quella di Battista Marello che concepisce assurde certe direttive avanguardistiche, alle quali però egli, come figlio del nostro tempo, porta rispetto e - perchè no - anche parecchia simpatia".

Pescara, ottobre 1988

Leo Struzzieri


"Il suggerimento drammatico è dato dall'imminenza incombente degli elementi, nel loro contendersi spaziale fra tempestosi cirri di nuvole, burrascosi flutti montani e l'instabile baricentro di piramidi e basamenti. Tutto si colloca nella precarietà dell'evento, del divenire di un accadimento metastorico, in cui tutto si è già compiuto e ritorna a compiersi come in un fotogramma bloccato ma proteso al suo successivo scorrimento. La sospensione temporale e l'interna imminenza dell'evento genera una comunicante tensione d'immagine. L'inquietante sequenza, venata da un cromatismo ora sospeso sulle stesure cupe e luminose di azzurri di un cielo sempre incombente, ora vibrante di un iride tellurico sulle montanti onde acquatiche, si dispone e scorre in un tempo astorico e tuttavia come incubato dalle energie della natura, da una finalità che lo sospinge".

Roma, 1987

Luigi Paolo Finizio


"L'aspirazione pittorica del tardo barocco con la sua iconografia fluttuante e quasi inafferrabile, la monumentalità delle forme classiche del novecento italiano, i segnali contemporanei codificati dalla scuola di Piazza del Popolo di Roma, appaiono improvvisi, nelle carte e nelle sete di Battista Marello, con un susseguirsi incalzante di immagini prive apparentemente di continuità nel tempo e nello spazio ...

La pittura, infatti, oltre che piacere, è anche una forma di conoscenza della realtà.

Quindi le citazioni, ricorrenti nella pittura di Battista Marello, vengono a divenire non già estremi di immagini ripetitive precedentemente vissute, proprie dell'anacronismo, ma schegge, elementi vivi in rapporto dialettico con la profonda cultura e religiosità dell'artista, fuori dalla semplice speculazione pragmatica".

Roma, 1987

Gianfranco Proietti


"Si veda a questo proposito il meditato Esodo eseguito con gessetti su carta a mano di Amalfi: tutto è prodigioso e tutto è improntato ad una melanconia che è propria delle visioni transavanguardiste, quando non fanno troppo gioco. Una finestra o invetriata, o veranda con personaggi, gli alberi, la statua, il bastimento dal prolisso pennacchio di fumo portato a volute sempre più gigantesche verso di noi, che fanno da habitat a questa temperie del partire, non è chiaro se da un golfo natio e per una specie di passaggio del Mar Rosso in battello.

Sono, i quadri di questo pittore dalla fantasia accesa, messaggi fra la preghiera e la disperazione, tra la fiducia del vivere e la certezza, , mai del tutto scontata, del soffrire.

La tavolozza dell'artista di S. Leucio si fa molto spesso di fiamma, come nel dipinto ad olio, assai serrato e di piccola dimensione. La ciminiera e il Belvedere, oppure nel più vasto e organizzato lavoro, come un dramma ricostruito in teatro, dal titolo La via delle acque, una vera sinfonia di rossi, che da Scipione a Saverio, fa vertebra di immagine. In Capriccio del Re, gessetti su carta e Mangiafuoco, un vasto acrilico, l'artista assume atteggiamenti di più candido fantasticante, quasi a raccontar favole, ma sempre in un contesto che si immagina vitale e sanguigno.

Insomma, parroco si, ma non meno pittore".

Roma, 1987

Marcello Venturoli


"Per Battista Marello la necessità espressiva parte da una realtà interna, che trovala sua identità nella gestualità archeotipata".

Salerno, 1987

Nicola Scontrino


"All'arte, come alla fede, quindi si arriva soprattutto attraverso la ricerca e l'esperienza proprie e degli altri.

Lo confermano i lavori di Battista Marello nei quali l'aria, la terra, il fuoco e l'acqua costituiscono gli elementi archetipici di una vocazione alla purezza delle forme e alla fissione di immagini fantastiche e libere come quelle dell'infanzia che non conosce ancora l'altro da sè e ignora l'errore ...

Volute di fuoco e addensamenti di nubi, architetture aeree e sospese nel vuoto che si alternano a salde costruzioni radicate nel suolo, volumi geometrici che contraddicono la mobile fluidità delle atmosfere e dei climi circostanti, macchine dell'effimero barocco che rafforzano lo spaesamento di finestre, cappe e ciminiere aperte in uno spazio indefinibile, occupano la superficie di carta, tela, seta, cartone, legno, sprigionando un'energia che fuoriesce dal quadro provocando sensazioni ed emozioni ideali e reali e viceversa".

Napoli, 1987

Arcangelo Izzo


"Il Belvedere è ricorso attraverso scorci suggestivi, prospettive ardite, tagliate ad ampia fuga, che richiamano alla mente stagioni futuriste, ovvero mediante ricostruzioni dimarcato spessore allusivo, in cui l'attenzione si concentra su di un particolare architettonico, un elemento decorativo, un rilievo che in qualche misura assume valore emblematico, che rappresenta nella essenzialità dell'immagine, ai limiti dell'astrazione, una parte del tutto ...".

Caserta, 1986

Giorgio Agnisola


"La precisa composizione di particolari di cancelli ci introduce nell'opera pittorica di Battista Marello, attivissimo e disinteressato organizzatore culturale e animatore del borgo settecentesco di San Leucio. E' proprio lo stretto rapporto con l'utopica città industriale borbonica risalta nelle sue delicate tele, dove ad un certo schematismo grafico fa da contrappunto una piacevole libertà cromatica. Il colore si esalta nelle tonalità più brillanti, apparendo tra le volute di ferro dei cancelli, a volte ripetute come un modulo all'infinito.

Una divisione che il paese ha rispetto al mondo e nello stesso tempo un facile e benospitante accesso alle vie del borgo: ecco che cos'è il cancello nella metaforica pittura del Marello. La sottile ironia di quest'impalpabile realtà interna/esterna rende enigmatiche le opere. I toni netti di vaga essenza pop-artistica e le colature di scuola romana (quella degli anni 60) arricchiscono ancor più di raffinata citazione pittorica la costruzione delle immagini".

Caserta, 1985

Enzo Battarra


... Non c’è chi in gioventù non abbia scritto una poesia o una canzone: almeno si dice. Il luogo comune potrebbe ben estendersi all’arte; difatti, i pastelli e la plastilina si danno in mano ai bambini per sollecitare la loro creatività. “In nuve” siamo tutti Michelangelo o Raffaello; approda ad esiti felici in materia che ha talento e questo non sotterra ma coltiva e fa fruttificare. Marello ne ha, come dimostra quanto si espone nella personale di Sulmona; lo mette già a frutto, ma ne coglierà di più quando avrà scelto la sua strada e la percorrerà difilato, senza zig-zagare o tornare indietro o cercarne ancora, fino alla meta.

Di pellegrini più o meno affannosi alla ricerca dei valori assoluti che sono nell’arte, che è la verità, è coperto il mondo. Giunge in fondo chi lascia pure il bastone e la bisaccia e disincantato tiene sempre lo sguardo fisso alla vetta.

Battista Marello dimostra per ora di avere i numeri per farcela.

1985

Gaetano Andrisani


Le forme più esasperate del rocaille, un gusto Pompadour gonfiato al punto da richiamare l’attenzione sul senso concreto della contemporaneità della storia, uno stile di vita basato sull’intelligenza nei suoi aspetti più scettici e pungenti, un compiacimento estetico, talvolta fine a se stesso: queste cose ed altre affiorano dai disegni di Battista Marello, i primi, quelli degli anni ’70, eseguite nelle sale di quell’immobile ossessione che è il Belvedere di S. Leucio ove ogni cosa sfiora il gusto e la memoria e contribuisce all’intrigo di emozioni.

Trofei, delfini, vasi che ricordano le produzioni di Sevres ma che si presentano nella lettura di Marello come turiboli ove brucia l’incenso: cose che collocano talvolta l’artista al di dentro della configurazione tardo barocca; cose che difficilmente potranno sopravvivere al di fuori di questo sogno patriarcale dell’Arcadia illuminata ove si vive un passato e un presente assai simili e ove nei disegni o nelle tele è già presente il dolore di sentirsi durare ...

Nelle ultime opere, in quelle dell’altro ieri o di qualche giorno prima, Battista Marello attinge ad una cultura diverse forme, gusto ed espressione; non si comprende però se ciò possa sopravvivere.

1985

Antonio Marotta